
di Giovanni Chiambretto e Massimo Marino
Nuove guerre, vecchi conflitti. Con le guerre ci guadagnano tutti
Un fatto nuovo, fra i tanti della crisi del pianeta, è questa curiosa inedita epoca dello scontro armato: fino a ieri si scontravano due antagonisti, due nazioni, due etnie, due tendenze politiche o religiose che, se potevano, aggregavano alleati e supporters. Oggi, su vecchi conflitti proliferano nuove guerre, ma gli antagonisti sono tre o quattro. Come se sul ring salissero quattro boxeurs che se la dessero di santa ragione ciascuno contro gli altri tre. Il pubblico non riesce a rendersi conto di cosa succede, anche perché a poche centinaia di chilometri di distanza, gli stessi attori manifestano antagonismi diversi. Naturalmente non esiste più il monopolio degli stati nazionali nell’uso sistematico della violenza. Gli attori possono sempre essere stati nazionali, ma anche gruppi etnici, correnti religiose, organizzazioni politiche o gruppi economici. Progressivamente sono accantonate le norme classiche di comportamento in guerra: la crudeltà e la barbarie sono un corollario ormai consueto ( ad esempio gli stupri di massa e il ripristino dello schiavismo, precursori moderni i giapponesi in Cina ) ma ci sono anche vere innovazioni mediatiche come le decapitazioni con accompagnamento hip-hop a sfondo religioso.
Pensavamo che con la fine della guerra fredda si aprisse un era di pace. Invece negli ultimi 100 anni , dal 1915 ad oggi, le guerre non sono mai cessate : sono solo cambiati modi, luoghi e protagonisti: prima le due guerre mondiali ( 17 e 70 milioni di morti ), poi due grandi guerre regionali : Corea nel 1953 ( 2,8 mil. di morti ) e Vietnam nel 1960-75 ( 7 mil. di morti ).
Finita la guerra fredda guerre diluite nello spazio e nel tempo, compresa la pulizia etnica e i movimenti armati a sfondo religioso e/o tribale. Fra queste Hutu e Tuczi in Ruanda nel 1994 ( 1 mil di morti ), guerre nella ex Jugoslavia del 1992-95 ( 200mila morti ) , le quattro guerre arabi-israeliani dal 1948 al 1973 e la diaspora palestinese che permane irrisolta ( almeno 30mila morti ) , la guerra siriana e anti jihadisti in corso dal 2011, quasi 300mila morti di cui almeno 40mila nelle file di Isis e affini. Almeno altrettanti in Irak ( 3-400mila morti fra il 2003 e il 2011 ) e ancora l’Afghanistan dal 2001 ad oggi ( almeno 150mila morti ). Con il tempo la componente civile fra i morti è sempre più all’evidenza. Per completare il quadro vanno aggiunti ovviamente milioni di feriti e invalidi e decine di milioni di profughi permanenti , cioè che hanno definitivamente persa la propria abitazione e residenza originaria. La rappresentazione mediatica che ci viene proposta delle crisi è talmente semplificata e banalizzata da rendere incomprensibile la dinamica di ciò che si svolge quotidianamente sotto i nostri occhi. Chi sta facendo davvero la guerra all’Isis ? E con quali obiettivi ? La prima domanda che andrebbe fatta è: dove si prendono così tanti soldi, armi, volontari per tutte queste guerre? E chi sono i destinatari ultimi di tutti questi soldi ?