
di Massimo Marino
Lentamente, silenziosamente, la generazione che ha vissuto il '68, nata nei primi anni dopo la fine della guerra, esce di scena. Esce dalle fabbriche, dagli uffici, dalle scuole e dalle università, dai ministeri, dagli enti pubblici e dalle forze armate. L'esodo, ovviamente, è già in corso da almeno un decennio ma con il nuovo anno sarà pressoché impossibile trovare qualcuno che, al di là del lato della barricata su cui era schierato, possa raccontare a compagni e amici di lavoro come giravano le cose alla fine degli anni '60.
Intanto è ancora in corso una guerra psicologica condotta sui media, che tenta di affermare che le lotte e le conquiste di quel decennio furono una aberrante anomalia e che oggi finalmente si presume di rottamare un epoca di irresponsabili diritti per tornare, finalmente, alla ragione: chi ha il potere , i soldi, chi è capace di corrompere, di fare il burattinaio nella società, è di fatto intoccabile, gli altri devono competere fra loro, essere responsabili, flessibili nella loro permanente precarietà sociale e soprattutto non avere memoria . Non solo memoria di quegli anni che , al dunque, si vuol far credere, furono solo la premessa della stagione del terrorismo, ma memoria di tutto lo scenario sociale miserabile dell'Italia dei decenni successivi, quella della DC e delle stragi fasciste, quella dei patti inconfessabili con le mafie, quella della devastazione del territorio e dell'ambiente, dall' Acna all'Ilva, da Casale alla ThyssenKrupp, dalla terra dei fuochi alle ecoballe bassoliniane .