Elezioni e referendum: chi ha vinto .. e che cosa ha vinto ?

         di Massimo Marino *

Un inconsueto dibattito si è aperto alla conclusione del doppio appuntamento di maggio-giugno (elezioni e referendum). Dibattito inconsueto ma non inappropriato. Le domande che alimentano la discussione sono sostanzialmente due: chi ha vinto le elezioni e i referendum ? ma anche: che cosa si è vinto? Le due domande, specie fra i molteplici protagonisti del successo in alcune grandi città e quelli dei quattro referendum, ma in realtà anche fra i molti commentatori ufficiali della politica italiana si  trascinano dietro una terza domanda, non da poco: e adesso che si fà, cosa succede..? è scoppiata la rivoluzione? stiamo andando verso una nuova “terza repubblica” ? non è successo quasi nulla, tutto tornerà normale in breve tempo …?

I partiti, alcuni che si attribuiscono la vittoria, altri che la sminuiscono,  pensano già a come attrezzarsi per le possibili elezioni politiche del 2012 o 2013… Per capir  che fare bisognerebbe forse comprendere meglio cosa esattamente è successo e magari trarne qualche insegnamento…

Chi ha vinto le elezioni ?
La risposta non è per niente  facile tant’è che se ne leggono e se ne sentono di tutti i colori..
Intanto vediamo qualche numero e qualche caso significativo.
Riferendosi ai 130 comuni sopra i 15.000 abitanti la lettura dei risultati, usando il sempre meno significativo criterio delle coalizioni (centro-destra e centro-sinistra ), dice che il cdx  è passato da 52 a 39 , il csx da 74 a 83, le coalizioni prevalentemente “civiche” ( a volte “civiche di centro” )  da 4 a 8. Nelle 14  Provincie al voto non è cambiato nulla,.è finita 7 a 7 come prima. Ma il cambio di maggioranze, anche imprevedibile, di alcune grandi città ( Milano e Napoli ma anche altre come Cagliari e Novara ) dicono che c’è stato uno spostamento reale, specie nel centro- nord, e che in generale si è confermata una radicalizzazione nel paese. Alcuni, ad esempio Luca Ricolfi , il sociologo che tende a dare interpretazioni non banali sui fatti, attribuiscono i risultati ad un tutto sommato prevedibile voto contro Berlusconi che ha coinvolto anche aree moderate e conservatrici; ma in qualche modo anche un voto contro i due principali partiti (PDL e PD) che, entrambi,  seppure in misura molto diversa continuano da almeno tre anni a perdere voti ( “tramonti paralleli “ li chiama Ricolfi). Voti in mobilità che, anche questo singolare, non hanno favorito il centro ma aree più radicali ( il movimento di Grillo ma anche, in misura minore del previsto SeL e ancor meno IdV, in qualche caso ridando qualche voto anche alla sinistra estrema di Ferrero).
Particolare e singolare la situazione di Torino dove il voto di continuità con il quale Fassino è subentrato a Chiamparino assume un carattere ambiguo e conservatore, in qualche modo contrapposto a quello di Milano e Napoli. Una vittoria di apparati e conseguenza della totale frammentazione e immaturità di gruppi e fazioni più radicali che dopo mesi e mesi di incontri e riunioni non sono stati in grado di costruire un nuovo progetto da offrire alla città e sono naufragati nel nulla sciogliendosi  o si sono aggregati al PD  in forma subalterna o presentati divisi in frammenti insignificanti lasciando la città in mano a quei poteri forti consolidatisi con le olimpiadi, con lo smantellamento del settore dell’auto, con  la cancellazione di qualsiasi opposizione istituzionale. E che adesso propongono il rilancio del progetto TAV, poi dell’inceneritore più grande del paese ai confini della città, poi  il rilancio urbanistico che ha già in carico 200 varianti del Piano Regolatore.

Quindi chi avrebbe vinto?
E’ evidente che una lettura semplificata, in definitiva ambiguamente centrata solo sull’antiberlusconismo non funziona. Detto più esplicitamente...non si capirebbe niente. Quindi proviamo a ricominciare da capo.

I sondaggi
Se ce ne era bisogno l’ultima tornata elettorale ci insegna che sondaggi e sondaggisti sono da rottamare; quelli più seguiti hanno sbagliato o nascosto quasi tutto: clamorosa sottostima di Grillo ( dato dalla metà ad un terzo dei risultati effettivi ) sovrastima di Vendola ( dato al doppio di quanto pesa realmente, sull’onda della telenovelas infinita delle primarie ) ma anche del cosiddetto terzo polo ( Casini, Fini e Rutelli ) un invenzione dei media che in realtà in gran parte non esiste e comunque sembra pesare meno di Grillo anche se si offre caso per caso al miglior offerente..con ottimi incassi..
I sondaggisti non hanno colto neanche la crisi dell’IdV , un partito transitorio e in transizione che sta faticosamente ricentrando la propria collocazione ed i propri quadri penalizzato dall’abbraccio stretto con il PD e dai non pochi transfughi e che non sa in che direzione andare; che ha dimezzato in direzione di Grillo il peso acquisito nelle scadenze più recenti. I sondaggisti neppure hanno previsto la crisi della Lega, che anzi fino a poche settimane prima del voto veniva insistentemente data in aumento. Così come si dava insistentemente in aumento l’astensionismo, che in molti casi è invece addirittura diminuito.  In Germania e in Francia, dove i sondaggi sono una cosa seria, i nostri sarebbero a rischio licenziamento (Mannheimer e Piepoli in testa ).  Dunque lasciate perdere sondaggi e sondaggisti se volete capire dove va l’Italia.

L’imbroglio  elettorale per i Comuni
E’ nota l’indifferenza e l’incomprensione, diffusa anche nel mondo ecologista, dell’influenza delle regole elettorali e delle loro modifiche sui risultati elettorali e in definitiva sulla democrazia e la possibilità di partecipazione diretta e delegata alle scelte politiche del paese.
E’ passata così praticamente inosservata la modifica dei meccanismi elettorali introdotta con la Finanziaria per i 2010 e poi con la legge 42/2010 ( http://www.camera.it/parlam/leggi/10042l.htm ) con la quale sono stati ridotti del 20% consiglieri comunali, provinciali e assessori, pur mantenendo il premio di maggioranza (60% degli eletti) per la coalizione vincente e il doppio turno sopra i 15.000 abitanti (10.000 nei comuni siciliani). Il nuovo sistema, abilmente giustificato come “riduzione dei costi della politica”, accoppiato al premio e considerato che gli apparentamenti fra il 1° ed il 2° turno sono praticamente scomparsi per ragioni di bottega, assume nella pratica una connotazione fortemente illiberale, penalizzando partiti piccoli e medi, massacrando il pluralismo e rendendo ininfluente potenzialmente il voto di molti milioni di persone. Di fatto è un'altra forma di imposizione forzata di un bipolarismo/bipartitismo che non esiste più anche nelle scadenze locali, spinge al trasformismo, all’abbandono delle proprie identità politico culturali o ad una presenza alle scadenze elettorali di pura testimonianza. Nei 130 comuni coinvolti dal voto di maggio si può stimare che complessivamente cinque partiti (Mov5Stelle, SeL, IdV, Fed. Sinistra, Verdi ) così come e dove erano presenti hanno “mancato” almeno 300 eletti  ( circa 2/3 di quelli possibili con il precedente sistema), hanno perso molte decine di possibili presenze nelle giunte nascenti, snaturando oggettivamente la espressione del voto e la connotazione delle nuove amministrazioni, ridando un peso ed un ruolo ai partiti principali, PD e PDL, che su alcuni grandi progetti riguardanti la società italiana hanno posizioni coincidenti e che dalle modifiche delle regole ne hanno tratto grande vantaggio. Anche nelle aree di centro e centro-destra per le forze di media dimensione ( centristi e Lega ) il nuovo sistema è stato penalizzante, seppure in misura minore.
La conseguenza, paradossale, è che in molti Comuni i due partiti che hanno perso voti ( anche il PD ) hanno aumentato eletti e peso politico-amministrativo ed eliminato concorrenti e alleati, incapaci di aggregarsi fra loro in modo intelligente malgrado avessero parecchie convergenze su temi di fondo. Conseguentemente ha perso totale significato il confronto e la convergenza sui programmi, che la legge giustamente ma astrattamente indica come base fondante delle coalizioni così come degli apparentamenti fra 1° e 2° turno.
Quindi ci si allea per convenienza, prevale il trasformismo, si salta individualmente da un partito all’altro; oppure si fa pura testimonianza.

La scomparsa di verdi e ambientalisti
Per quanto nessuno lo metta in rilievo, questa tornata elettorale ha concluso il processo di cancellazione, in corso da anni ed in particolare dalle politiche del 2008, non solo della sinistra estrema ma soprattutto dei  verdi che anche nella nuova gestione sono rimasti privi di qualunque strategia di vero rinnovamento, hanno deluso chi confidava in  un nuovo inizio dopo il congresso di Fiuggi e si sono autodissolti fra una convention e l’altra della costituente ecologista e di altre etichette prive di idee e comportamenti nuovi. Il solito armamentario da partitino e le oggettive condizioni di difficoltà li ha messi nell’angolo ed è difficile scovare un solo  eletto del sole che ride nei 130 comuni al voto; particolarmente gravi i risultati nei comuni più importanti dove il partitino verde non ne ha azzeccata una pur in presenza di grandi sommovimenti elettorali: di fatto assenti a Bologna, sede del primo incontro della costituente ecologista, poi dell’ecoconclave dove i verdi hanno promosso la divisione di quel poco che era possibile unire, limitandosi a qualche presenza nella lista di Amelia-Vendola; Solo 0,27 % a Torino in una lista che massacrava il nome di Europe Ecologie; 0,83% a Napoli dove una lista socialista-verde-radicale sbagliava l’alleato (il solito PD) mentre trionfava De Magistris; paradossale il dato di Milano dove due liste (quella verde-ecologista di Fedreghini e quella civica-arancione di Milly Moratti ) si elidevano a vicenda, come era  prevedibile, entrambe con l’ 1,3% circa. Risultato zero anche in parecchi altri comuni minori, complice il nuovo sistema elettorale sopra accennato. Pochissimi anche gli eletti ex verdi fra quelli che, numerosi, hanno cambiato cavallo anche all’ultimo momento, infilandosi, con scarsi risultati, nelle liste di SeL,  IdV, PD, API di Rutelli. Praticamente assenti o comunque irrilevanti le poche presenze degli altri frammenti ecologisti e civici tutti indifferenti all’idea di tentare qualche forma di aggregazione significativa, anche loro cancellati, specie dalle liste di Grillo, in alcune zone del centro e nord Italia.  
Un risultato agghiacciante e comunque preoccupante se si considera che in meno di 10 anni un migliaio di verdi e ambientalisti, parecchi con storia e competenze dignitose, sono scomparsi dalle istituzioni elettive, dal Parlamento europeo fino alle Circoscrizioni di quartiere, con la sola eccezione del Trentino, Alto Adige e poco altro, mentre la crisi ambientale, i successi europei, i referendum e le sciagure del Giappone mettevano sempre più in rilievo il nesso fra crisi del modello economico, crisi ambientale,  radicalizzazione sociale e urgenza di una conversione ecologica del sistema economico, sociale, culturale.

Il successo dimezzato di Grillo
Le liste del Movimento 5 Stelle erano presenti in poco più della metà dei 130 comuni a cui ci riferiamo, sempre e dappertutto fuori da qualunque alleanza o coalizione, non solo rispetto ai partiti esistenti ma di fatto anche “separati” dai tanti gruppi, movimenti, comitati locali e civici disseminati nel paese e che nelle stesse settimane della campagna elettorale si attrezzavano per lo scontro referendario. Da soli contro tutti, secondo la scelta  di Grillo, con una forte connotazione anticasta ma anche con un progressivo affinamento dei contenuti, in grandissima parte condivisibili, e con l’emersione progressiva di una nuova schiera di quadri e militanti  ed una importante presenza giovanile che dà qualche speranza per il futuro  se Grillo, come gli altri, riuscisse a superare il proprio egocentrismo mantenendo nello stesso tempo la propria connotazione  innovativa.
 Il successo del movimento di Grillo è stato sorprendente ma nello stesso tempo molto circoscritto: Vicino al 10% ed anche più a Bologna, Rimini, Ravenna, Savona, Cesenatico; fra il 5 ed il 10% a Torino, Novara, Rovigo,Trieste, Pomezia, Arezzo,Grosseto. Quasi dappertutto scavalcando SeL, IdV, UDC e centristi tanto da essere da più parti citato come il vero “terzo polo” della politica italiana. In realtà non è esattamente così; le liste a 5Stelle sono state premiate come una possibile scelta di voto diverso contro il sistema dei partiti e la crisi sociale più che per i contenuti specifici del programma, che sono invece la parte migliore del movimento; premiate, ma non dappertutto: a Milano e Napoli la protesta ha preso altre strade e la presenza di Grillo, almeno ad oggi, si ferma al nord Italia e in parte del centro, e non si diffonde in molte aree del sud. E la mancanza di un progetto e di una strategia di alleanze ha drasticamente contenuto il numero di eletti che sono, alla fine dei conti , poco più di un centinaio e con crescenti contraddizioni sull’irrisolto problema della democrazia interna.

Chi ha vinto i referendum?
Non c’è dubbio che il risultato dei referendum, comunque lo si legga, è una grande vittoria per i movimenti che li hanno promossi o ispirati, ma anche per i partiti come l’Idv che li ha in parte promossi , per quelli che li hanno sostenuti, SeL, Verdi, Sinistra e buon ultimo il PD, ma soprattutto … per il futuro dell’Italia.
Dopo 24 referendum falliti per mancanza di quorum dal 1995 ad oggi, il 57% di votanti raggiunti (quasi 55% contando anche i votanti all’estero) malgrado tutti i tentativi di boicottaggio, sono un risultato chiaro e straordinario. Circa 26 milioni di SI’ (e solo1,5 milioni di NO) sono la maggioranza assoluta dei 50 milioni di elettori, molti di più della somma dei voti mediamente ottenibili dall’insieme dei partiti che li hanno totalmente o in parte sostenuti. La trasversalità dei contenuti, la perdita di autorità dei partiti stessi, alcuni avvenimenti internazionali come quelli del Giappone, il precipitare della crisi di credibilità del berlusconismo, si sono sommati insieme producendo il più significativo episodio di volontà di cambiamento nella società italiana degli ultimi decenni.
Il quorum è stato raggiunto in tutte le Regioni italiane, con il dato più alto nel Trentino Alto Adige  (64,6%) e il più basso in Calabria ( 50,3% ). La Provincia più virtuosa è stata Reggio Emilia (68,4%) quella più assenteista Crotone (45%). Fra i capoluoghi di provincia in testa Livorno ( 68,3%) al fondo Catania ( 43,2%) . Ma la forbice che si poteva prevedere fra nord, centro e sud Italia è stata molto minore del previsto e non sono stati pochi i comuni, anche del sud, dove la partecipazione al voto per i referendum è stata  superiore a quella delle elezioni locali appena svolte 2 o 4 settimane prima. Segnale evidente del fenomeno la forte richiesta di tessere elettorali per votare anche in molti comuni dove le elezioni comunali si erano appena svolte.  

Che cosa si è vinto ?
Decine di città, grandi e piccole ( tante ma non tutte) sono state provvisoriamernte “liberate” dalla morsa dei comitati d’affari, grandi e piccoli, che le soffocavano nell’assalto al territorio, nel disprezzo del diritto ad un lavoro pulito e dignitoso, nel degrado della qualità della vita, nel rifiuto di una mobilità sostenibile, di servizi sociali, sanitari, assistenziali adeguati ai bisogni; nel dilagare di clientele e corruzione. E’ una liberazione provvisoria in quanto città come Milano, Napoli e tante altre riusciranno a produrre una svolta a seconda del clima generale di cambiamento che è necessario in tutto il paese e senza il quale le “zone liberate” si ritroveranno rapidamente strette in una morsa di restaurazione e di normalizzazione. Servono coraggio e progetti di aggregazione di carattere politico e generale e di consolidamento nel territorio delle forze che inaspettatamente si sono attivate, a macchia di leopardo, unite nella fase elettorale e soprattutto nei mille comitati referendari che hanno unito gruppi e persone sparsi e “polverizzati” che in questa occasione hanno trovato motivi ed entusiasmo sufficienti per attivarsi e aggregarsi.
I referendum vinti danno un supporto generale che aiuta un possibile percorso di aggregazione. La cancellazione probabilmente definitiva del nucleare, non solo in Italia, impone una nuova politica energetica che si basi su risparmio, uso razionale e sviluppo delle fonti rinnovabili impedendo il solito ripiego nell’uso di petrolio, carbone e importazioni; per prima cosa andrebbe posto il problema del ricambio delle figure che da decenni occupano la direzione dei grandi enti energetici e della ricerca e insieme la sfida dell’uso delle nuove fonti come  possibilità per consolidare nuovi lavori e nuova occupazione eco-orientata. I referendum sull’acqua ridimensionano l’assalto ai beni comuni ed alle privatizzazioni indiscriminate ma pongono insieme la sfida del rinnovamento e dell’efficienza di apparati e strutture pubbliche. Quello sul legittimo impedimento mette come minimo un freno all’impudenza.
La voglia di cambiare si esprime in diverse forme, nelle forme possibili: vincono sindaci e coalizioni “ radicali” che raccolgono più consensi di quelli che raccoglierebbero coalizioni tradizionali smentendo il teorema della “conquista del centro”; emerge il movimento di Grillo in metà dell’Italia come provvisorio “terzo polo” in assenza di una aggregazione ampia che in altri paesi europei  assume una nuova cultura politica  ecologista come proprio riferimento.

L’anomalia italiana produce tre partiti di transizione, quelli di Grillo, di Vendola e di Di Pietro, senza riferimenti europei, pieni di limiti e di ambiguità irrisolte; in più decine di frammenti che vengono chiamati movimenti nessuno dei quali da solo è in grado di garantire una transizione ad un'altra Italia. Senza un radicale rimescolamento ed un solvi et coagula delle forze esistenti non è possibile il cambiamento; ritorneremmo alla finta sfida delle primarie e  ad una nuova riedizione sbiadita dell’Ulivo le cui prospettive in realtà ricadrebbero nelle mani dei soliti Casini e Fini e di quelle aree ambigue di centro prive di contenuti e pronte in ogni momento a qualsiasi giravolta,  estranee ad una cultura del rinnovamento: la vecchia Italia che prova a riproporre se stessa nella formula ambigua dell’antiberlusconismo, lasciando ai margini quell’area che vuole il cambiamento, che si allarga sempre più ma non ha un progetto e quindi non conta.

Arrestare la cementificazione ulteriore del territorio, fermare i grandi progetti inutili come la TAV, fermare la precarietà insopportabile del lavoro senza tutele, ma anche occuparsi di temi distrattamente ignorati come la riforma elettorale che è strumento che regola in definitiva il potere del partecipare e contare nel voto e nel territorio sono alcuni dei temi principali su cui le nuove energie liberate con il voto amministrativo e referendario devrebbero concentrare l’attenzione  se si vuole evitare che i successi recenti diventino solo una parentesi che può essere cancellata in pochi mesi.

* del  Gruppo delle Cinque Terre