RESTRIZIONI ALLA RETE IN EUROPA

Molti governi, Francia e Spagna in testa, restringono le libertà dei navigatori. Ma è pronto un piano più ampio che mette d’accordo tutti i Paesi: l’Acta. Per scongiurarlo si muovono i Radicali in Italia e Google negli Usa La rete si stringe intorno al mondo. Nei giorni in cui il braccio di ferro tra Cina e Google è diventata notizia da prima pagina
(di ieri i numeri sugli utenti cinesi: 384 milioni, il 29 per cento della popolazione), ribadendo quanto il web sia un attore politico ed economico difficile da estromettere, le restrizioni legislative per la navigazione fioccano in diversi Paesi, compreso il nostro.

 

E il popolo di Internet, globale per definizione, fa sentire la propria voce con giustificata insistenza. Basta vedere la cyber-rivolta in Spagna dove migliaia di utenti si sono ribellati alle politiche del premier Zapatero, dopo l’approvazione della legge liberticida che permetterebbe ai tribunali di censurare il web in meno di quattro giorni. Un disposizione molto simile alla legge Hadopi, adottata nella vicina Francia, con la differenza che il ddl spagnolo non prevede sanzioni per gli utenti sorpresi a piratare, consuetudine che ha portato gli iberici in vetta alla classifica dei criminali informatici.
 

In Francia, nominata Marie-Françoise Marais presidente dell’Alta autorità per la diffusione delle opere e la protezione dei diritti su internet (appunto, l’Hadopi), si attendono per aprile i primi avvertimenti agli internauti colpevoli. Nel Regno Unito, sono invece ancora in fase di dibattito le nuove norme previste dal Digital economy bill, che prevederebbe disconnessioni e autentiche milizie del peer to peer. In Germania invece più della pirateria, fanno paura i giganti informatici: secondo il ministro della Giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, applicazioni come Google Earth e Google Street View agirebbero in maniera monopolistica e non rispetterebbero la privacy degli utenti.
 

Ricordando ancora una volta il ruolo chiave di Internet in situazioni di emergenza (gli aiuti alla popolazione haitiana sono solo l’ultimo esempio), cresce ovunque l’apprensione per il grande bavaglio che sembra condiviso da diversi governi. Urgenti iniziative personali o parti di un disegno più ampio? Su quest’ultima possibilità fa leva la denuncia dei Radicali italiani che proprio ieri hanno depositato una interrogazione che chiede al Governo Italiano di riferire in Parlamento quali misure intende adottare per le trattative segrete che da più di un anno riguardano diverse nazioni del mondo.
 

La denuncia porta la firma congiunta del segretario dell’associazione radicale Agorà digitale, Luca Nicotra, e dei senatori radicali Marco Perduca e Donatella Poretti, che spiegano: «Esiste un tavolo segreto che coinvolge da più di un anno Unione Europea e diversi altri Paesi tra cui Australia, Canada, Corea del Sud e Stati Uniti per raggiungere un nuovo accordo (Acta, Anti-counterfeiting trade agreement) sui diritti di proprietà intellettuale, e che, se non verrà fermato in tempo, rappresenterà con ogni probabilità un nuovo giro di vite per le libertà su Internet». Una congiura inquietante, che preoccupa utenti e aziende tecnologiche, soprattutto perché i dettagli di questo accordo sono totalmente sconosciuti al grosso dell’opinione pubblica, ma con ogni probabilità ben noti alle industrie interessate per i loro fini privati.
 

Sui pericoli rappresentati dall’Acta, si sta muovendo decisa proprio Google, che ha annunciato l’imminenza del primo Google Talk, un grande convegno organizzato a Washington D.C., per parlare del trattato anti-contraffazione la cui ratifica sembra prevista entro la prossima estate. La posizione dell’azienda di Mountain view è tutto nello spirito ultra-democratico dell’iniziativa: un apposito spazio web consente già ora ad ogni utente di presentare i propri dubbi e le proprie opinioni in merito all’Acta. Insomma, la parte sana della Rete che mostra in mondovisione ai potenti perché Internet è concretamente un patrimonio dell’umanità.