
Podemos è la grande novità della politica spagnola del 2014. Ne abbiamo parlato in questo sito il 18 giugno scorso, dopo l’exploit del nuovo partito alle elezioni europee del mese di maggio (1.245.000 voti, pari al 7,97% del totale e a 5 seggi nel Parlamento Europeo). *
Un risultato che nessun partito con solo cinque mesi di vita aveva mai ottenuto in Spagna; un partito che ormai conta oltre 250 mila simpatizzanti iscritti alla sua web e circa mille circoli in tutto il paese. Come evidenziò il manifesto del nuovo partito, presentato nel gennaio di quest’anno, e intitolato “Mover ficha: convertir la indignación en cambio político”, Podemos non nasce dal nulla, ma si collega all’onda lunga dei movimenti sociali dell’ultimo triennio (gli indignados e il movimento del 15-M, le mareas contro i tagli all’educazione e alla sanità del biennio successivo, la Plataforma de Afectados por la Hipoteca).
Secondo Pablo Carmona, membro di Observatorio Metropolitano e portavoce di Ganemos Madrid, una piattaforma nata dal basso che si presenterà alle prossime elezioni municipali nella capitale spagnola, Podemos ha saputo raccogliere parte di quelle richieste e convertire una maggioranza sociale in una maggioranza politica. Ma ne è anche un superamento: già nel febbraio del 2013 Juan Carlos Monedero, uno dei fondatori di Podemos, aveva dichiarato che “senza una guida politica, senza un programma e senza una struttura, anche se abbiamo buone idee, non possiamo risolvere tutti i problemi in cui ci troviamo sommersi”. E pare proprio che i risultati si stiano vedendo: il sondaggio del CIS della prima metà di ottobre lo dà come terzo partito in Spagna e addirittura come primo partito in alcune regioni come le Asturie, mentre un più recente sondaggio di Metroscopia di fine ottobre pone Podemos come primo partito in intenzione diretta di voto. Un terremoto senza precedenti per un sistema politico come quello spagnolo fondato sul bipartitismo PSOE-PP, partiti che governano il paese dal 1982. La paura di un successo di Podemos è reale ed è dimostrata quotidianamente dagli attacchi che sia il PP, sia la Confindustria spagnola (la CEOE) sia il PSOE e i mass media affini gli lanciano, accusandoli di populismo e di bolivarismo.
Dopo le elezioni europee Podemos è entrato in un intenso processo di dibattito interno che si è concluso lo scorso fine settimana. A giugno è stata eletta una direzione “tecnica” che ha guidato il partito fino al suo primo congresso celebrato il 26 e 27 ottobre nel Palasport di Vistalegre a Madrid e a cui hanno assistito 7 mila persone. Due le proposte presentate: il documento “Claro que Podemos” firmato da Pablo Iglesias e dal suo gruppo, tra cui si trovano i principali fondatori di Podemos (Juan Carlos Monedero, Iñigo Errejón, Carolina Bescansa e Luis Alegre), e “Sumando Podemos” firmato da tre dei cinque deputati europei eletti a maggio, Pablo Echenique, Teresa Rodríguez e Lola Sánchez. Le differenze erano soprattutto organizzative: mentre “Claro que Podemos” era favorevole a una struttura con un solo segretario generale e a un processo partecipativo che non perdesse di vista l’efficacia, “Sumando Podemos” proponeva una segreteria condivisa da tre portavoce e consegnava maggiore potere ai circoli di base. Ma vi era anche una tensione tra l’equipe di Iglesias e Izquierda Anticapitalista (IA), piccolo partito nato nel 2009, ma figlio dell’esperienza di Espacio Alternativo, realtà attiva dal 1995 al 2008: tra i fondatori di Podemos, IA controlla alcuni circoli, soprattutto a Madrid, e ha tra i suoi dirigenti proprio la eurodeputata Teresa Rodríguez. Una delle proposte di Iglesias è stata infatti anche che i membri della struttura di Podemos non possano essere affiliati ad altre organizzazioni politiche per il rischio palpabile che IA stesse facendo un lavoro di entrismo nei circoli di Podemos.
Dei 250 mila simpatizzanti iscritti alla web di Podemos hanno votato 112 mila persone: “Claro que Podemos” ha ottenuto l’80% dei voti, mentre “Sumando Podemos” solo il 12%. Un chiaro appoggio alla figura di Iglesias e alla sua proposta confermato anche la scorsa settimana nell’Asamblea Ciudadana (Assemblea della Cittadinanza) di Podemos che si è tenuta al Teatro Nuevo Apolo di Madrid, dopo una settimana di votazioni – via internet tramite l’impresa Agora Voting – per eleggere i membri delle strutture del nuovo partito. I votanti sono stati 107 mila, di cui l’88,6% (95.000 voti) sono andati alla lista proposta dall’equipe di Iglesias, che è stato dunque eletto segretario generale di Podemos. La struttura del partito è poi composta da un Consejo Ciudadano (Consiglio della Cittadinanza) formato, oltre che dal segretario generale, da 62 membri (50% uomini e 50% donne) eletti nell’Assemblea – la grande maggioranza provenienti dalla lista di Iglesias –, 17 rappresentanti regionali e 1 membro dei circoli di Podemos all’estero. Il Consejo Ciudadano si divide in diverse aree di lavoro (organizzazione, economia, partecipazione, comunicazione, uguaglianza, ecc.) e eleggerà a breve un Consejo de Coordinación (Consiglio di Coordinamento) formato da 10-15 persone che gestiranno l’attività quotidiana del partito.
Nel suo primo discorso come segretario generale, Pablo Iglesias ha spiegato la decisione di non presentarsi alle elezioni municipali di maggio 2015 – per evitare di creare una “marca” Podemos poco controllabile – e di appoggiare le diverse liste civiche che sono nate dal basso, come Guanyem Barcelona e Ganemos Madrid, ma di presentarsi alla regionali dello stesso mese e soprattutto di puntare alle generali di novembre 2015, con la volontà di vincerle. Iglesias ha poi ribadito la necessità di iniziare un processo costituente con l’obiettivo di riformare il sistema nato dalla transizione alla democrazia perché la Spagna sta vivendo “una crisi di regime”.
Podemos: discorso e programma
E questo è uno dei punti chiave che si ricollega al discorso che facevamo sulla Tangentopoli spagnola e la crisi generale (politica, istituzionale, sociale, economica…) che vive il paese iberico. In un contesto di crisi economica durissima con un tasso di disoccupazione attorno al 25% da oltre tre anni, la corruzione e la trasparenza sono due dei principali puntelli del discorso di Podemos: le undici persone contrattate attualmente dal partito e gli stessi europarlamenti percepiscono un salario di 1.290 euro al mese e la contabilità del partito, i costi della campagna elettorale (nelle europee sono stati spesi solo 138.814 euro) e l’utilizzazione dei fondi concessi dalla UE sono trasparenti e vengono pubblicati nella web di Podemos.
Il discorso di Podemos può essere letto da molti italiani come qualcosa di paragonabile al Movimento 5 Stelle, ma le differenze sono notevoli, come già scrivevo nell’articolo pubblicato su questo sito il 18 giugno. Podemos, e in questo l’equipe di Iglesias è chiave, ha deciso di non utilizzare strategicamente una terminologia chiaramente di sinistra per non allontanare possibili votanti di centro che con la sinistra non si riconoscono direttamente (nei recenti sondaggi un 17% dei simpatizzanti di Podemos ha dichiarato di aver votato PP alle ultime elezioni). Lo spiegava bene lo stesso Iglesias a inizio 2013: “Se metti la parola “sinistra” al tuo partito, non ti voterà mai una persona il cui nonno è stato fucilato dai repubblicani nella Guerra Civile”. Così invece di parlare di lotta di classe e proletariato si preferisce il termine precariato o “pobretariado” (letteralmente: poverotariato); invece di sinistra-destra si parla di poveri-ricchi (arriba-abajo, letteralmente quelli in alto e quelli in basso); invece di oligarchia si parla di casta, in modo simile a Occupy Wall Street con il discorso del “We are the 99%”.
Ma il programma di Podemos è chiaramente di sinistra e anche i suoi contatti e la sua affiliazione nel Parlamento Europeo. Alle europee di maggio, difatti, Podemos ha appoggiato la candidatura di Tsipras e i cinque deputati eletti siedono nel Gruppo della Sinistra Europea. Lo stesso Alexis Tsipras, insieme all’eurodiputata del Bloco de Esquerda portoghese Marisa Matías, agli ambasciatori della Bolivia e del Nicaragua e a membri delle ambasciate del Venezuela, dell’Ecuador e dell’Argentina, del popolo curdo e palestinese, hanno partecipato all’Asamblea Ciudadana di Podemos della settimana scorsa. Non è affatto un caso: al di là del gruppo di Izquierda Anticapitalista la cui provenienza politica è evidente, Pablo Iglesias e i suoi più stretti collaboratori hanno alle spalle delle esperienze politiche e professionali nella sinistra spagnola. Formatisi nelle lotte del movimento no global e poi in quelle contro la guerra in Irak, Iglesias, Monedero e Errejón, docenti a contratto presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Complutense di Madrid, hanno lavorato come assessori politici di dirigenti di Izquierda Unida alle elezioni generali del 2011 (Monedero di Gaspar Llamazares e Iglesias dell’attuale segretario Cayo Lara) e di governi progressisti latinoamericani (la Bolivia e l’Ecuador per Errejón e il Venezuela per Iglesias e Monedero). Nell’autunno del 2013, quando poi si stava lavorando al progetto di Podemos, Iglesias fece un tentativo con IU per creare una candidatura di sinistra, ma non ci fu volontà politica da parte del partito di Cayo Lara.
E il programma presentato alle europee di maggio lo dimostra chiaramente: difesa del Welfare State, rafforzamento del settore pubblico, rinazionalizzazione dei settori strategici (telecomunicazioni, energia, alimentazione, trasporti, sanità, educazione…), fine del sistema economico spagnolo fondato sul mattone e sul turismo, riforma del sistema fiscale (con una maggiore tassazione delle grandi fortune, eliminazione della Sicav, nuova tassa del 30-35% sui beni di lusso…), lotta contro l’evasione fiscale, aumento del salario minimo, riduzione della giornata lavorativa a 35 ore, abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni, reddito di cittadinanza, ampliamento della partecipazione dei cittadini alle scelte politiche, democratizzazione delle istituzioni come il BCE, rinegoziazione del debito pubblico…
Su quest’ultima questione – ma anche su altre, come le nazionalizzazioni – recentemente ci sono state delle prese di posizione più moderate: dalla cancellazione del debito pubblico si è passati a una proposta di una sua ristrutturazione ordinata e dall’esproprio delle grandi imprese da nazionalizzare si è passati a parlare di un modello che “regoli i settori strategici per favorire l’interesse generale”. In una recente intervista a “Diagonal”, Iñigo Errejón ha spiegato che “Se vuoi davvero una cancellazione del debito, se lo dici e lo annunci prima ottieni un movimento di capitali che te lo rende impossibile. Bisogna aprire un processo mediante il quale possiamo essere capaci di ristrutturare una parte del debito, di rinegoziarne un’altra, di cancellarne la parte illegittima e di organizzare un piano di pagamenti che la renda fattibile.” Allo stesso tempo, il partito ha incaricato l’elaborazione di un documento che servirà come base del futuro programma economico a due stimati economisti di sinistra, Vicenç Navarro e Juan Torres, autori di numerosi studi, tra cui l’apprezzato Hay alternativas scritto insieme al giovane deputato di IU Alberto Garzón e pubblicato nel 2011.
Anche su altre questioni, Podemos ha mantenuto un profilo basso come la questione monarchia-repubblica e la questione catalana. In entrambe è a favore di un referendum dove siano i cittadini a decidere. Nel caso catalano, non si è presa una posizione a favore o contro la consultazione del 9 novembre, ma si è dichiarato di essere a favore del “diritto di decidere” dei catalani, sottolineando la priorità delle questioni sociali su quelle nazionali. In un recente articolo pubblicato su “El País” firmato da Errejón e Gemma Ubasart, si spiegava che “In uno Stato plurinazionale, solo l’accordo e l’attrattiva dovrebbero essere il collante per ricostruire ponti, in uno scenario di costruzione della sovranità popolare in contrapposizione ai poteri delle minoranze e al diktat finanziario, assunto dalle caste catalana e spagnola la cui unica patria è la Svizzera”. E pare che il discorso abbia già fatto presa: secondo un recente sondaggio del CEO, Podemos sarebbe il terzo partito per intenzione diretta di voto in Catalogna, ottenendo 11 deputati alle elezioni regionali e 8 alle politiche generali (nella sola Catalogna), superando, e non di poco, la federazione rosso-verde di ICV-EUiA e avvicinandosi al PSC. Tenendo conto della situazione politica catalana e tenendo conto che in Catalogna Podemos disponde di meno circoli che nel resto della Spagna, il risultato è più che notevole.
Podemos ha fatto passi da gigante in questi primi dieci mesi di vita. Vedremo se riuscirà a mantenersi all’altezza delle aspettative generate nella società spagnola.
· ( esclusa parte su referendum e Catalogna )