Il Ponte non finisce mai
di Gino Sturniolo *
Pubblichiamo in anteprima un saggio di Luigi “Gino” Sturniolo, portavoce del movimento messinese No-Ponte, pubblicato nel volume, a sua cura, “Il Ponte sullo Stretto nell’economia del debito” (edizioni Sicilia Punto L, 2013). Il volume costituisce uno snodo cruciale del percorso di riflessione sui “beni comuni” che porterà il movimento dello Stretto a scendere in piazza, il 16 marzo prossimo, contro la ripresentazione di una partita, quella del Ponte sullo Stretto, che sembrava chiusa e che ritorna invece oggi al centro della scena.
Dopo il definanziamento dell’opera, alla fine del 2012 il governo Monti decide infatti di rimandare di due anni le decisioni e quindi le sorti di un territorio già vessato. Il Ponte sullo Stretto nell’economia del debito, introduzione di I. Cicconi, con saggi di L. Sturniolo, M. Letizia, attivista del movimento No Ponte, A. Mazzeo, giornalista e autore del libro “I Padrini del Ponte” e L. Marabello, architetto.
Le continue ripartenze del Ponte sullo Stretto
La storia del progetto di costruzione del Ponte sullo Stretto è fatta di frenate e ripartenze. La società concessionaria per la progettazione e costruzione dell’infrastruttura (Stretto di Messina spa) ha una vita già trentennale, preceduta da quasi venti anni di attività del Gruppo Ponte Messina spa. Sono già passati oltre 10 anni da quando Berlusconi tracciò, nel corso di una famosa puntata di “Porta a porta”, le linee delle infrastrutture di trasporto che avrebbero solcato lo stivale, indicandone il manufatto d’attraversamento come l’opera simbolo. Dello stesso anno è la Legge Obiettivo, quadro normativo di tutto il piano delle Grandi Opere. D’altronde, nel 2006, la vittoria di Prodi aveva dato un brusco stop all’iter, collocando il ponte tra le opere non prioritarie e lo scorso anno, in seguito all’uscita dello Stretto di Messina dai corridoi di trasporto europei, si era giunti ad un chiaro definanziamento.Così, il Governo Monti, il governo tecnico, sembrava essere tecnicamente in grado di porre la parola fine ad un progetto inutile dal punto di vista trasportistico e non redditizio dal punto di vista economico. Sembrava che fosse finito il triste stillicidio di date annuncianti la posa della prima pietra e il taglio del nastro. E, invece, così non è stato. La scelta del Governo di sospendere per due anni la decisione sul futuro dell’infrastruttura, nell’attesa di verificarne la fattibilità tecnica e la sostenibilità finanziaria (lasciando intendere, peraltro, di volere concedere appalti per opere “a terra” per il raggruppamento d’imprese guidato da Impregilo), riapre nuovamente la partita, dando ragione a chi, nel movimento No Ponte, ha sempre sostenuto che il vero obiettivo è l’iter, non necessariamente la costruzione del manufatto d’acciaio e cemento.
Le penali come obiettivo
La scelta del Governo di posticipare la decisione sul futuro del ponte segue gli evidenti tentennamenti che avevano caratterizzato l’ultimo periodo. In un primo momento sembrava che l’orientamento fosse riconoscere 300 milioni di penale, poi derubricate a rimborsi per le spese sostenute per la progettazione, accresciute del 10%. Guido Signorino, docente di economia applicata presso l’università di messina e da anni impegnato nel movimento No Ponte, ha, in un suo recente intervento, chiarito che secondo il contratto stipulato tra Stretto di Messina spa ed Eurolink (General contractor per la progettazione e costruzione del ponte sullo stretto) non esiste, allo stato attuale, alcun “titolo giuridico perfezionato” che dia diritto a penali, che scatterebbero solo nel caso in cui, una volta avviati i cantieri, venisse decisa dal Governo o dalla società concessionaria l’interruzione dei lavori. La pretesa delle penali si baserebbe, invece, su un accordo riservato del 2009 tra Ciucci (amministratore delegato della Stretto di Messina spa) ed Eurolink. Tale accordo non sarebbe, però, valido in quanto, continua Signorino,
«a) la rinegoziazione dei contratti risultanti da pubblica gara di appalto è esclusa da copiosa giurisprudenza e da un’apposita circolare della presidenza del consiglio (n. 12727 del 12-11-2001) che recepisce l’orientamento in merito dell’U.E.;
b) lo stesso contratto era parte integrante del bando di gara ed era stato “incondizionatamente accettato” da tutte le imprese partecipanti alla gara, “a pena di esclusione” … In essa l’AD di SdM Spa assicurava che la penale sarebbe scattata solo dopo l’apertura dei cantieri, garantendo in sostanza che l’eventuale decisione politica di sospendere le procedure non avrebbe creato alcun diritto da parte del General Contractor, salvo (naturalmente) il riconoscimento del lavoro svolto»[i].
Ed è stato lo stesso Ciucci, di recente, a dichiarare che, alla luce del decreto legge del 2 novembre, non si parla di penali, ma di rimborsi spese per le prestazioni progettuali e che queste assommano a circa 80 milioni di euro, l’80% già pagate dalla società. L’ammontare del 10% dovrebbe, quindi, essere di circa 8 milioni di euro [ii].
Eurolink, comunque, da parte sua ha già provveduto a chiedere il recesso dal contratto e il pagamento delle penali[iii] e Impregilo ha già inserito nel proprio piano industriale 150 milioni di euro di penali per il Ponte sullo Stretto [iv].
Le grandi opere devono essere inutili
Insomma, come nel gioco dell’oca, sembra di essere tornati alla casella di partenza. A dover valutare, ancora, per il sì o il no al Ponte. Saremmo portati a considerare scandaloso il fatto che dopo aver speso centinaia di milioni (oltre 500 secondo un studio di Domenico Marino, docente di politica economica presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria e autore di parecchie pubblicazioni sulla questione del Ponte sullo Stretto)[v] di euro in studi, convegni e modellini di plastica si chieda ancora del tempo per potere verificare la fattibilità dell’opera e la sua bancabilità. Sembrerebbe assurdo pensarlo se considerassimo i vantaggi economici ricavati dai personaggi che reggono il moccolo all’iter da tanti anni (già un documento ufficiale inviato nell’ottobre 2007 dai parlamentari Paolo Brutti, Anna Donati e altri al Presidente del Consiglio Romano Prodi indicava in 700.000 euro annui il compenso per Ciucci).
Eppure le Grandi Opere sono proprio questo, sono l’eterna riproposizione dell’uguale. «Le grandi opere sono per definizione inutili»[vi], sostiene Ivan Cicconi, uno dei maggiori esperti di appalti pubblici in Italia e già consulente di Nerio Nesi, ministro dei Lavori Pubblici tra il 2000 e il 2001. Vivono e si riproducono, cioè, nella dilazione dei tempi, nell’aumento del costo, in una lunga e continua ripartenza. ciò che potrebbe apparire come un difetto di funzionamento è la loro natura costitutiva. Esse corrispondono, peraltro, ad una forma dell’impresa caratterizzata dall’intrattenere una relazione di carattere predatorio nei confronti del territorio, una forma dell’impresa che «non ha rapporto col passato, né con il futuro, ma vive esclusivamente sul presente»[vii], insiste Ivan Cicconi, una forma dell’impresa che trova nel modello del General contractor il vestito più appropriato. Secondo questo modello pochissime grandi società in Italia catturano la gran parte degli appalti relativi alle infrastrutture, cedendo, poi, i lavori al sub-appalto. Il modus operandi di queste imprese è risultato evidente nei lavori di trivellazione finalizzate alla redazione del progetto definitivo svoltesi in riva allo Stretto. In quella occasione solo 15 dei 125 lavoratori impegnati erano alle dirette dipendenze di Eurolink (il consorzio d’imprese guidato da Impregilo) e tutti vennero licenziati subito dopo la chiusura dei cantieri, durati poco più di un mese.
Va rilevato, peraltro, che solo 5 lavoratori erano messinesi, a dimostrazione del fatto che questo tipo di contractor non intrattiene alcun rapporto di convivialità con il territorio nel quale svolge i propri interventi. e sono le stesse imprese locali a lamentare i guasti provocati dagli appalti dati a General contractor. Un recente documento dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) siciliana, in occasione dello sblocco dei fondi europei per la realizzazione dell’autostrada Gela-Caltanissetta, lo definisce come un sistema di affidamento che, scavalcando le regole e i controlli delle gare d’appalto con procedura aperta, nei fatti si traduce nella morte delle imprese locali che sono essenzialmente medio-piccole. Infatti, sempre secondo l’ANCE-Sicilia, i General Contractor uccidono le imprese locali prima praticando tariffe da fame e poi non pagandole. In questo modo l’intera ricchezza viene trasferita fuori dalla Sicilia [viii].
L’inganno del Project Financing
Il sistema delle Grandi Opere è stato attuato utilizzando lo schema del Project Financing, un’architettura finanziaria che avrebbe dovuto imporre alle imprese appaltatrici la condivisione del rischio, mantenendo il contributo pubblico entro il 50% del costo complessivo dell’opera e sottoponendone la realizzazione della stessa alla sostenibilità economica. In realtà, il Project Financing si è rivelato essere uno strumento per nascondere operazioni che si sono rivelate fattori di incremento del debito pubblico, come spiega bene Ivan Cicconi. «Le bugie, che con il Project Financing raccontano gli amministratori pubblici ed i boiardi nominati nelle società controllate o partecipate, hanno consentito in poco meno di dieci anni di impegnare non meno di 150 miliardi di euro fuori bilancio, attraverso prestiti, accesi dai promotori cosiddetti privati, quasi sempre garantiti dal committente pubblico. Prestiti che sono sostanzialmente debito pubblico differito nel tempo, debiti pubblici (a babbo morto), nascosti nella contabilità di società di diritto privato»[ix]. La tesi secondo la quale i Comuni hanno spesso scelto il Project Financing per aggirare il patto di stabilità e non iscrivere i debiti a bilanci è sostenuta anche da Tommaso Dal Bosco (Anci), secondo cui «questo genera mostri, ma tornare indietro non si può»[x]. La crisi del debito pubblico ha imposto, però, un mutamento nei meccanismi di finanziamento delle Grandi opere. Questi si sono indirizzati verso una maggiore finanziarizzazione[xi] e la sperimentazione di nuovi strumenti (Project Bond)[xii], nonché verso un’accentuazione delle condizioni di favore nei confronti delle imprese che catturano gli appalti per le grandi infrastrutture. Si tratta di un progetto lanciato in Italia nell’estate del 2011 attraverso la presentazione del rapporto «Le infrastrutture strategiche di trasporto»[xiii] redatto dalle Fondazioni Astrid, diretta da Franco Bassanini, Italiadecide, di Luciano Violante, e Res Publica, di Eugenio Bellone, direttore scientifico Giulio Tremonti, e che ha già fatto parecchi passi in avanti (prima con il Governo Berlusconi e poi con Monti), con l’obiettivo di attrarre nuovi finanziatori (fondi sovrani, fondi pensione, assicurazioni vita, cassa depositi e prestiti). È evidente il rischio (o la volontà?), al tempo della crisi finanziaria, di determinare nuovi processi speculativi aventi le infrastrutture come collaterale [xiv].
Chiudere la partita
Da anni, ormai, il movimento contro il Ponte sullo Stretto si è liberato da un atteggiamento meramente reattivo, conservativo. Se in una prima fase delle mobilitazioni la difesa del paesaggio e i timori per le devastazioni cui il territorio sarebbe andato incontro sono stati la molla che ci ha fatto mettere in cammino, non è stato necessario molto tempo perché la nostra lotta venisse contestualizzata, perché ne emergessero le motivazioni politiche, economiche, sociali, culturali. È stato così che la cura dei luoghi e il loro essere la trama sulla quale pensare al futuro del territorio sono diventati ragione e pratiche militanti. Alla politica delle Grandi opere, che nel primo decennio del 2000 ha fatto il paio con la politica delle emergenze e dei grandi eventi, il movimento ha risposto proponendo un piano per le infrastrutture di prossimità.
Potenziamento dell’infrastrutturazione stradale e ferroviaria, implementazione del trasporto pubblico, modernizzazione della flotta che garantisce la continuità territoriale, messa in sicurezza sismica ed idrogeologica del territorio, investimenti nell’edilizia scolastica, bonifica dei territori, facilità di connessione, gratuità e sviluppo delle reti telematiche: questa è stata la piattaforma che il movimento ha portato nelle piazze[xv]. Una proposta evidentemente ragionevole, che guarda al futuro, che punta sull’arricchimento del territorio e sulla sua vivibilità. una proposta che, altrettanto evidentemente, non corrisponde al modello d’impresa di riferimento delle élite politiche ed economiche del paese. Al di là delle valutazioni tecniche disciplinari sui sì e i no relativi alle grandi infrastrutture la vera posta in gioco è questa. È questo il motivo per cui il territorio è divenuto il luogo delle lotte. Perché da una parte è stato inteso come territorio di conquista da cui estrarre profitti senza alcuna connessione con la vocazione dei luoghi e la vita degli abitanti, mentre dall’altra si è cominciato a costruire l’idea di uno spazio comune, un luogo comune nel quale «si addensano esperienze umane che stabiliscono rapporti di convivenza con le altre espressioni del vivente»[xvi], un luogo non perimetrato, non identitario, nel quale si sperimentano saperi e vocazioni locali, forme di autogoverno, nel quale possa esprimersi la ricchezza sociale che la nostra terra produce, una ricchezza sociale identificabile nelle decine di migliaia di giovani che ogni anno se ne vanno e che continueranno a farlo se non verrà offerta la possibilità di spendere a casa loro le competenze acquisite. «Cogliere le vocazioni del territorio, cartografarne le opportunità, può servire a progettare una città (un territorio) dell’accoglienza sostenibile, una città (un territorio) dell’immateriale, una città (un territorio) della cultura, dello sport, della convivialità pensando innanzitutto agli oppressi e ai poveri di questa città del sud in mezzo a tempi disperati e senza la speranza di poter influenzare quanto li circonda»
[xvii]. Sarà, appunto, dalla cura dei luoghi che potrà, allora, venire una opportunità per il futuro. Bisogna, allora, liberarsi del Ponte e dell’iter del Ponte che grava come un’ipoteca sul futuro del nostro territorio. Bisogna chiudere la partita: 1) cancellare il contratto con Impregilo; 2) chiudere la Stretto di Messina spa e 3) non riconoscere alcuna penale e alcun debito (semmai dovremmo essere noi ad essere risarciti per le risorse che ci sono state sottratte e per il tempo che ci è stato rubato). Alle imposizioni dall’esterno e alla verticalizzazione delle scelte bisognerà che vengano sostituiti i progetti condivisi e la democrazia dal basso.
[i] Guido Signorino, Ponte, le penali non sono dovute in nessun caso, terrelibere.org, 3 novembre 2012, http://www.terrelibere.org/ponte-le-penali-non-sono-dovute-in-nessun-caso
[ii] Pietro Ciucci, Nei prossimi mesi via alle opere propedeutiche anche in caso di non realizzazione del ponte, http://www.tempostretto.it/news/ponte-sullostretto-ciucci-prossimi-mesi-via-alle-opere-propedeutiche-caso-non-realizzazione-ponte.html
[iii] Giorgio Meletti, Ponte sullo Stretto, pasticcio da 500 milioni, il Governo adesso è nei guai, «il Fatto Quotidiano», dicembre 2012, http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/16/ponte-sullo-stretto-pasticcio-da-500-milioni-governo-adesso-e-nei-guai/447238/
[iv] Luisa Leone, A impregilo 350 milioni per i rifiuti, «Milano Finanza», 12 dicembre 2012, http://www.milanofinanza.it/giornali/preview_giornali.asp?id=1802763&codicitestate=7&titolo=a%20impregilo%20350%20milioni%20dai%20rifiuti
[v] Domenico Marino, L’insostenibile leggerezza del Ponte, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010.
[vi] Ivan Cicconi, La truffa del Poject Financing, http://www.youtube.com/watch?v=s6aJzqqJsvg
[vii] Ibidem.
[viii] Luigi Sturniolo, Il General Contractor uccide il territorio, terrelibere.org, 26 aprile 2012, http://www.terrelibere.org/il-general-contractor-uccide-il-territorio
[ix] Ivan Cicconi, Il libro nero dell’Alta velocità, Roma, Koinè, 2011, p. 13. http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/11/il-libro-nero-dellalta-velocitain-anteprima-su-ilfattoquotidiano-it/156781/
[x] Contratti confusi, ora il rischio è che diventino debito pubblico, «Il Sole 24 ore» edilizia e territorio, 12 novembre 2012, p. 11.
[xi] Le infrastrutture in Italia. Dotazione, programmazione, realizzazione, milano, università bocconi, 23 gennaio 2012, intervento di Franco bassanini, presidente di cassa depositi e prestiti, astrid, http://www.youtube.com/watch?v=tltinJweØnY
[xii] Project Bond e finanziamento delle infrastrutture. Innovazione e mercato per sostenere gli investimenti in grandi opere, 14 giugno 2012, milano, università bocconi, organizzato dal dipartimento di Finanza e centrobanca, http://www.youtube.com/watch?v=Ynd3spzRKdk&feature=relmfu
[xiii] Astrid, Res publica, Italiadecide, Le infrastrutture strategiche di trasporto, problemi, proposte, soluzioni, 23 marzo 2011. http://www.igitalia.it/doc/astrid23mar.pdf
[xiv] Luigi Sturniolo, Project Bond. Le infrastrutture sono montagne di carte, terrelibere.org, 7 giugno 2012, http://www.terrelibere.org/project-bond-le-infrastrutture-sono-una-montagna-di-carte
[xv] No Ponte: le alternative sono le infrastrutture di prossimità, terrelibere.org, 30 aprile 2011, http://www.terrelibere.org/no-ponte-le-alternative-sono-le-infrastrutture-di-prossimita
[xvi] Luigi Sturniolo, I “luoghi comuni”, micromega on line terrelibere.org, 26 novembre 2011, http://www.terrelibere.org/i-luoghi-comuni
[xvii] Daniele David, Luigi Sturniolo, Manifesto per l’alternativa comune,