Exxon e Shell guadagnano 160.000 dollari a minuto. Ma le Big Oil vogliono meno tasse

Le Big penalizzate da gas e petrolio da scisti


Sissi Bellomo scrive sul Sole 24 Ore che «il successo dell'estrazione di gas e petrolio dagli scisti potrebbe un giorno regalare agli Stati Uniti l'indipendenza energetica. Ma la realizzazione del sogno ha un prezzo che si sta rivelando pesante, non solo nei confronti dell'ambiente, ma anche sui conti delle compagnie petrolifere.


L'impatto è più che evidente sui risultati del secondo trimestre, che il settore ha iniziato a diffondere ieri. A colpire è soprattutto la svalutazione da 1,3 miliardi di dollari operata da Bg Group sugli asset Usa, legata alla convinzione che i prezzi del gas in Nord America continueranno a lungo ad essere deboli. Il gruppo britannico, grazie alla presenza in Europa, ha evitato di chiudere il trimestre in rosso, ma gli utili sono crollati del 77% a 283 milioni di $. Meno evidente a prima vista, ma ancora più significativo, è però il danno che gli scisti stanno producendo sui conti delle due maggiori compagnie petrolifere del mondo, ExxonMobil e Royal Dutch Shell, già penalizzate dalla debolezza dei consumi petroliferi e dalla discesa - concentrata nel mese di giugno - delle quotazioni del greggio».
Secondo il Sole 24 Ore i risultati dell'Exxon possono ingannare «l'utile trimestrale, 15,9 miliardi di $ (+49%), formalmente è da primato. In realtà, 7,5 miliardi sono il frutto di benefici fiscali e della vendita di impianti petrolchimici in Giappone. Senza queste "una tantum" i profitti di Exxon sarebbero in realtà calati del 21,5 per cento. La colpa è anche di difficoltà produttive: l'output giornaliero della compagnia è sceso del 5,6% a 4,15 milioni di barili equivalenti petrolio, il minimo da due anni. Ma è il gas che, come il ceo Rex Tillerson aveva dichiarato circa un mese fa, «sta facendo perdere la camicia» ai produttori. L'eccesso di offerta ha spinto di recente i prezzi di questo combustibile ai minimi da 10 anni. Uno sviluppo che Exxon di certo non aveva previsto quando, due anni fa, comprò per 35 miliardi di $ Xto Energy, diventando il primo produttore Usa di gas. I profitti delle sue operazioni in patria nel secondo trimestre si sono dimezzati, a 687 milioni di $. All'estero, viceversa, sono aumentati dell'8,1% a 7,7 miliardi».


Anche la Shell avrebbe avuto risultati trimestrali deludenti -13% a 5,7 miliardi di dollari dovuti alle incerte condizioni economiche e geopolitiche. Secondo l'amministratore delegato della multinazionale, «la nostra industria continua a vedere una significativa volatilità dei prezzi energetici, che è il risultato degli sviluppi economici e politici. Contro questa volatilità stiamo implementando una solida strategia di lungo termine». A questo si assommano diversi incidenti che hanno funestato le attività della Shell che nel suo rapporto annuale ha ammesso che il numero delle fuoriuscite di petrolio è aumentato della 195 del 2010 alle 207 del 2011. L'anglo-olandese Royal Dutch Shell inizierà presto le contestatissime trivellazioni nell'Artico Usa, ma il suo piano contro le fuoriuscite di petrolio è in ritardo, la nave di pronto intervento non è pronta e recentemente ha perso l controllo di una piattaforma di perforazione proprio nell'Artico.
Ma il think tank Usa "Think Progress" presenta altri dati molto più favorevoli ad ExxonMobil e Shell, le prime due multinazionali del Fortune 500 Global ranking , che hanno annunciato i loro utili per il secondo trimestre 2012 portando il totale dei profitti a 44 miliardi di dollari per il 2012: 25 mila dollari al  giorno. Nel secondo trimestre l'Exxon ha avuto un profitto 16 miliardi di dollari, portando i suoi guadagni per il 2012 a 25 miliardi di dollari.
Anche il  New York Times ha scritto che i guadagni di  Exxon e Shell "deludono", perché i prezzi dell'energia al consumo questa estate sono scesi inaspettatamente.  Ma "Think Progress" fa notare che «mettendo i loro profitti nel contesto appropriato, tuttavia, Exxon e Shell hanno fatto ancora 160.000 dollari al minuto nell'ultimo trimestre, inoltre le prime cinque compagnie petrolifere beneficiano ogni anno di 2,4 miliardi dollari della federal tax breaks».
Il gruppo progressista Usa svela anche come Exxon e Shell spendono i loro utili. La ExxonMobil ha speso il 42% dei suoi profitti del 2012, 10,7 miliardi di dollari, per ricomprare le sue azioni, il che arricchisce gli executives e gli azionisti più importanti. La Exxon non sembra messa così male: ha 18 miliardi di dollari in riserve di liquidità.


Negli ultimi 18 mesi, la Exxon ha speso 17 milioni di dollari in lobbying, diventando il top spender dell'industria petrolifera e del gas. Nei primi 3 anni della presidenza Obama ha speso 52 milioni di dollari in lobbying, il 50% in più che al tempo dell'amica amministrazione di George W. Bush.  
Fino ad ora, la Big Oil Usa ha dato ai candidati alle elezioni federali  1,3 milioni di dollari come contributi all'attuale campagna elettorale, e il 91% è andato a esponenti repubblicani. Subito dopo il candidato alla presidenza Usa,  Mitt Romney, è il leader della minoranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, quello che riceve più contributi dalla Exxon.
Questo ricchissimo colosso paga tasse federali solo al 13%, meno della famiglia media americana, ma l'amministratore delegato della compagna, Rex Tillerson, nel 2011 ha avuto compensi per 24,7 milioni di dollari.
Negli ultimi 18 mesi la Shell ha speso circa 22 milioni di dollari,  diventando così il secondo più grande "spender" nel settore gas-petrolio. Ha acquisito riserve di liquidità per 17,3 milioni di dollari e nel secondo trimestre 2012 ha recuperato ben il 15% dei suoi profitti, cioè 900 milioni di dollari. Nel 2011 il suo amministratore delegato, Peter Voser,  ha più che raddoppiato il suo compenso fino a 15,3 milioni di dollari. Il suo stipendio è aumentato del 113%.
Anche Chevron e Bp anno annunciato forti profitti negli ultimi due anni. Mentre queste aziende straordinariamente ricche beneficiano già di miliardi di agevolazioni fiscali,

 

Mitt Romney ha offerto all'industria petrolifera ancora di più. Secondo un rapporto del Center for american progress action, il piano fiscale di Romney potrebbe ridurre di 2,3 milioni all'anno le tasse delle 5 Big, praticamente raddoppiando le agevolazioni fiscali delle quali già godono.

 


da www.greenreport.it    27 luglio 2012